Il controllore addetto al volo 59 diretto a Key Beach aveva dato l’o.k. al pilota ed ecco che il mastodonte da sedicimila chili aveva rivolto la prua verso nord, pronto al decollo. Non era la prima volta che lui viaggiava in aereo, e ogni volta provava sempre la stessa sensazione. Aveva una paura maledetta, non tanto dell’aereo in se quanto dell’altezza. Si rendeva perfettamente conto di non avere una chance di salvezza in caso di anomalia del mezzo. Ogni volta chiedeva una poltroncina lontana dal finestrino ma invariabilmente non veniva preso sul serio. E ora era lì, legato come un salame, tutto intento a ricordare quelle poche preghiere che la madre, nota bigotta di Coco Town, aveva cercato di insegnargli nei momenti di calma. Ma come sempre tutto quello che ricordava erano le prime righe del Padre Nostro, per cui alla prima strofa si era intristito e ora non sapeva che pesci pigliare. Lo aspettavano otto lunghe ore di volo.

Era riuscito a cancellare dalla mente il ricordo di ciò che aveva appena fatto. Il cielo appariva sereno e pulito, ma lui non voleva credere alle apparenze. Il rombo dei motori stava crescendo, e lui avrebbe voluto scendere. Ci aveva provato una volta, durante il viaggio di andata, ma la hostess lo aveva brutalmente legato al sedile e lo aveva tramortito con una camomilla da sedici litri per via endovenosa. Il suo vicino di sedile era largo come un campanile, teneva lo stesso spazio di un balenottero trascinato sulla tolda di un peschereccio di sei metri, e aveva l’alito che puzzava di pasticcio di cipolla e fertilizzante chimico. Per questo aveva deciso di passare le otto ore nella toilette, scatenando una quasi rivoluzione. Ma lui non aveva ceduto e, ora, in fase di atterraggio, si era assicurato alla tazza con tre chilometri di carta igienica. Mentre si stava preparando a uscire, in fase di rullaggio, era stato quasi linciato dal secondo pilota, ormai disperato. Aveva deciso quindi di scendere ad aereo ancora in movimento, e si era trascinato dietro il balenottero. Aldilà degli spessi vetri che dividono l’area arrivi dell’aeroporto aveva visto che la sua fedele compagna lo stava aspettando, con l’espressione abbastanza annoiata, in compagnia del suo cane, un alano brandemburghese affetto da nanismo acuto, novantotto centimetri al garrese.
“Ingrata” pensò. Era lei la causa del viaggio.

Era bello scoprire che almeno a Key Beach nulla era mutato. Alla dogana non avevano fatto storie, si erano accaniti contro il campanile perquisendogli anche l’orifizio più intimo senza trovare nulla di sospetto. Lei gli aveva sorriso, gli aveva mollato il cane e le chiavi della sua auto e si era allontanata sculettando, verso un fustacchione seduto al volante di una splendida spider blu oltremare. Lui aveva trovato la sua utilitaria dopo tre ore di affannosa ricerca, dopo otto risse canine e un laccio della scarpa strappato. Durante il tragitto verso casa aveva notato alcune modifiche all’estetica dell’auto. Del resto, non ricordava che dal radiatore uscisse vapore.
Comunque non era in grado di mantenerla, pensava riferendosi alla ragazza.
Non con quel sistema.
Finalmente era arrivato al suo appartamento, dove era riuscito a rilassarsi chiudendo la bestia sul terrazzo e buttando simbolicamente la chiave nel water.
Simbolicamente, perché la porta finestra era senza vetro.
C’era una busta di colore verde sul tavolo, una busta che a lui non diceva nulla e che non aveva voglia di aprire. E solo dopo cena, mentre cercava di accendere il televisore senza riuscirci si era deciso ad aprirla. Il messaggio era laconico ma molto, molto interessante.
Aveva vinto duemilioniottocentoquarantasettemilatrecento dollari alla grande lotteria nazionale di capodanno.
Era svenuto faccia in avanti.
Si era risvegliato tre giorni dopo, grazie alla gran fame del cane e al bisogno disperato di espletare l’atto finale dei ritmi biologici umani. Aveva ripreso la lettera e ne aveva riletto il messaggio. Era proprio vero, non aveva sognato, era milionario. Era rimasto dieci secondi indeciso se svenire nuovamente o meno, poi aveva iniziato a tremare.
Tremare per la rabbia.
Non poteva arrivare prima quella porca lettera?!?
Lui non avrebbe certo ammazzato quell’uomo.
Per tremila dollari, poi.
Quella era vera ironia.

Durante gli anni seguenti, l’unico suo motivo di consolazione era stato quello di sapere di essere uno degli ergastolani più ricchi e fessi della storia di Sing Song.