Giovedì 23 aprile. In questo periodo anche la natura sta scoprendo gli effetti della pandemia. Non intendo addentrarmi in considerazioni serie, non ho la preparazione necessaria e poi autorevolissimi esperti ogni giorno ci informano sugli effetti benefici legati alla “reclusione” domestica di noi umani.  No, voglio solo fare alcune riflessioni di carattere personale.  Partirò dal fatto che avendo tanto, troppo tempo libero a disposizione, ne ho speso parecchio in giardino. Un giardino che non ha mai avuto grosse ambizioni estetiche, dove di solito mi limitavo a tagliare l’erba del prato per evitare che si trasformasse in una giungla e a pareggiare l’altezza delle siepi. Per prima cosa, come già descritto precedentemente, ho dichiarato guerra all’edera che, causa incuria secolare, ricopriva gran parte degli spazi inerpicandosi anche sugli alberi. Una guerra senza quartiere, che si è conclusa con sacchi e sacchi di sfalci che ora sonnecchiano in garage, e con l’edera sopravvissuta che quando mi avvicino freme e mi guarda con sospetto misto a paura.
Anche gli alberi hanno imparato a temermi. In un periodo in cui sono partite un mucchio di iniziative legate al rimboschimento, ebbene lo ammetto io sono andato controtendenza tirando giù, con una sega a mano, diversi alberi infestanti, riscoprendo il piacere di vedere il sole! Non ne vado fiero, ma andava fatto.
Un’altra cosa che ho notato è il comportamento dei cani che abitano le case lungo la strada che porta in centro al paese. In particolare, una coppia di pastori tedeschi che, prima del #iorestoacasa, quando mi vedevano passare a piedi si scatenavano in abbaiate clamorose per affermare il loro ruolo di difensori della proprietà. Adesso, quando mi vedono passare, rimangono a tal punto sorpresi che restano a bocca aperta, ma in completo silenzio. Poveretti, abituati al passaggio di tanta gente, quando vedono qualcuno restano come bloccati dall’emozione. Stamattina poi, tornando dal panettiere e facendo il giro lungo (ma sempre entro i limiti imposti!), sono passato a fianco di una villa dove prima vivevano due cani enormi, cattivissimi, talmente grossi che il solo abbaiare faceva tremare la recinzione e la terra intorno. Sono stati “sostituiti” da galline direi, a giudicare dai suoni che provengono da dietro la copertura della recinzione. Effetto della nouvelle vague che vede sempre più persone allevare animali da cortile per rendersi in parte autosufficienti sotto l’aspetto alimentare? Credo comunque che le suddette galline siano da difesa, una sorta di ninja pennute con unghie di ferro e becchi in titanio, pronte a squartare chiunque decida di entrare con propositi ladreschi.
Purtroppo, visti i limiti, non posso più andare a camminare nei boschi della collina torinese. Boschi infestati da branchi di cinghiali che, secondo me, si staranno chiedendo: ma dove sono tutti? Me li immagino impegnati a organizzare gite fuori bosco per scoprire che fine abbiano fatto gli umani che prima tanto li disturbavano, obbligandoli (ma neanche poi tanto) a darsi alla macchia di giorno per uscire solo al calare delle tenebre. Adesso credo che alcuni di loro, i più intraprendenti o forse quelli che avendo a loro disposizione il bosco 24 ore al giorno si annoiano, sfideranno i limiti imposti dalle autorità e le relative sanzioni per passeggiare allegramente in centro paese. E senza mascherina regolamentare.
Non starò a parlarvi poi delle mosche che, stranite dalla totale assenza di “merenderos” con relativi cestini da picnic, immagino stiano vagando perplesse per l’aere con la voglia ingorda di posarsi su una fetta di torta, su uno sfrido di mortadella, su un panino che sta per essere addentato. Non posso, non ho più tempo, devo andare a tagliare l’erba del prato.  Perché si sa, la natura ci mette un amen a riprendersi il suo spazio.